La recensione cattivissima del Barbenehimer

Il Barbenheimer ha avuto il grande merito di aver riportato tutti al cinema, con cifre impressionanti: sia in termini di incassi – più di un miliardo per Barbie e quasi 800 milioni di dollari per Oppenheimer – e di ingressi – più di 200.000 persone hanno visto i due film lo stesso giorno -. Ha anche reso evidente che la buona riuscita di un film correla più con gli sforzi spesi in una sapiente campagna pubblicitaria che con l’effettiva qualità dello stesso. Parlo di Barbie principalmente, con 150 milioni di dollari spesi in marketing. Oppenheimer ha più che altro cavalcato l’onda con successo, con Nolan che dovrebbe ringraziare sui ceci il popolo dei social perchè senza il Barbenheimer un biopic rated R di 3 ore non avrebbe mai sbancato così al botteghino.

Gli outfit del Barbenheimer sono stati creativi, Ru Paul avrebbe avuto difficoltà nel dire sashay-away a qualcuno

I due film sono un ottimo riassunto della nostra epoca: everything, everywhere all at once. Senza I Daniels a farne un capolavoro però.

Barbiequi la recensione meno cattiva – vorrebbe sviscerare in poco più di due ore di film tutte le insidie del patriarcato, mentre Oppenheimer in tre vorrebbe fare un ritratto di un momento estremamente complesso nella storia della fisica e dell’umanità intera, attraverso la descrizione di una delle personalità più influenti che siano mai esistite. Quello che succede quando vuoi fare tutto è che, alla fine, o non riesci a concretizzare davvero nulla, o peggio ancora, finisci a fare qualcosa che non avevi assolutamente intenzione di fare.

Per esempio Barbie è molte cose, ma non è un film femminista. Il femminismo, lo ricordiamo, a differenza del patriarcato, promuove l’uguaglianza. Donne, uomini e ogni sfumatura nel mezzo, sono uguali, hanno gli stessi diritti e dovrebbero collaborare per costruire una società che dia a ogni individuo pari opportunità. In Barbie di sta roba femminista che ho scritto sopra non c’è nulla. Girlz rule. Fine. Gli uomini sono tutti stupidi, disonesti o imbroglioni mentre le donne sono tutte belle, dolci e intelligenti. È vero che il messaggio principale poteva anche essere: occhio, donne, a non abbassare la guardia perché c’è ancora moltissimo lavoro da fare per liberarsi da stereotipi inverosimili e dannosi. Apparentemente il passo logico successivo è stato scegliere Margot Robbie per mandare questo messaggio. Perfino la voce narrante dice che sta cosa è una str… stupidaggine. Allora di cosa parla Barbie? Conflitto generazionale? No. A malapena gli vengono dedicati cinque minuti di dialogo. Purtroppo, Barbie non parla di niente di rilevante per le donne . Peggio ancora è l’ennesima trovata per fare leva sullo spasmodico desiderio di validazione che caratterizza le categorie più oppresse per convincerle a comprare. Non mi credete? Volete sapere di quanto sono aumentate le ricerche su Google delle Arizona Big Buckle Nubuck Vegan Leather Birkenstocks in Rose (aka le Birkenstock rosa indossate da Margot Robbie nell’ultima scena del film)? 364%. E sono al momento sold-out. Già.

Qui lo diciamo noi: SASHAY AWAY!


L’unico lato positivo è il Ken di Ryan Gosling. Perfetto nella parte, senza mai prendersi troppo sul serio, ci regala un personaggio a 360 gradi, con le sue fissazioni (i cavalli), pregi e difetti. Ironico che un film che doveva aprire il dibattito sull’impossibilità per una donna di esprimere la propria vulnerabilità sia diventato un (meritatissimo) palcoscenico per la vulnerabilità degli uomini in questo nuovo mondo dove sono destinati a vivere una vita di blonde fragility. Quindi, insomma, niente di nuovo sotto il sole: doveva essere un film su Barbie e invece è stato un film su Ken. Suppongo che Mad Max: Fury Road, dove successe il contrario, rimarrà uno straordinario caso isolato.

Con Oppenheimer non è andata meglio. Premettiamo che le esplosioni stanno a Nolan come i seni stanno a Sorrentino. Se fossero stati registi meno dotati avrebbero semplicemente abbracciato la propria ossessione. Purtroppo per Nolan “mi piace far esplodere le cose rumorosamente” non è sembrata una giustificazione valida per spendere 100 milioni di dollari. Quindi nulla, 3 ore di biglie tirate nella boccia dei pesci per due minuti scarsi (e bellissimi) di the world goes boom. Il problema di Oppenheimer è lo stesso di Barbie, a prima vista sembra sia un film complesso invece è solo confuso.

Ma quindi Tony Stark era uno Skrull dei russi? L’hanno sostituito dopo la morte di Hitler? Sono confuso.

È un film sulla guerra? È un film su una lotta fra maschi bianchi cis-etero-basici che al posto del padel giocano con i premi Nobel? È un film su Cillian Murphy che fa un unica faccia per tre ore, iconica per carità, ma una sola, con lo spettatore che deve evincere come si sente dai dialoghi con gli altri personaggi? Non lo so. Il film ci prova a dirmi come devo sentirmi ma la verità è che la maggior parte dei personaggi e delle situazioni sono dimenticabili. Appaiono come funghi in discussioni piatte prese direttamente dalla pagina Wikipedia del progetto Manhattan e poi rimangono lì a fare da contorno come i cetrioli nell’insalata. Li riconosci come nel meme di DiCaprio, solo perché sono attori famosi e non perché tu sappia chi sia Enrico Fermi o perché il film si impegni particolarmente a fartelo sapere.

Eccolo è lui, quello che interpretava Dragon Ball nel film di Dragon Ball!

Quando i dialoghi non sono presi da Wikipedia, sono presi dai baci Perugina. Io vorrei tanto che nel mondo vero un Rami Malek mi comparisse in un processo dicendo “Strauss ha sputato nel bicchiere di Oppenheimer di nascosto” e boom standing ovation, Strauss ostracizzato, fine dei giochi, i buoni vincono.

Il mondo vero funziona in modo diverso.

In compenso, Einstein che compare come uno stalker professionista dietro la macchina del protagonista al momento giusto manco fosse babbo natale è qualcosa che farò molta fatica a dimenticare.

So cosa hai fatto la scorsa estate, Oppie.

A win is a win.

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